In arrivo un nuovo racconto targato Paul Di Filippo - Claudio Chillemi, qui in anteprima, le prime due pagine in inglese di MAXIMINUS THRAX AND THE GATES OF CHAOS.
Whenever
Gianfranco Brancati, poor fisherman’s son from the gorgeous but impoverished
village of Marzamemi, Sicily, began to long for the idyllic maritime scenes of
his youth; whenever he yearned for the smell and sound of water, a sure balm
for his city-stressed soul; whenever he wanted to marvel at the ever-changing
pageant comprised of the tourists and citizens of his adopted city of Rome, he
would betake himself to his favorite place in the summer-sweltering city, the
legendary Trevi Fountain. There, at a
small café directly on the Piazza di Trevi, he would sit with an espresso and a
biscotti (his pitiful purse had taught him how to nurse a single order for
hours) and enjoy the tinkling waters and the ceaselessly fluctuating human
drama.
But the place also held enormous allure
for Gianfranco due to its role in cinema history. Just last year, with the release of La Dolce Vita, featuring its already
legendary scene of Anita Ekberg cavorting in the fountain’s waters, this
magnificent spot had come to stand, in Gianfranco’s dreams, for all the glamour
of the cinema, all the romance and glory, sex and excitement that he had grown
up on, a starry-eyed, barefoot lad watching the tenth-run films of Hollywood
and Rome showing on the screen of the tiny Marzamemi theater. A dreamy, impractical upbringing which had
left the young adult Gianfranco with the insane and outrageous ambition that
had brought him to this hard, foreign metropolis: to become a part of the film industry, in
whatever capacity they would have him.
Just that morning at the end of May,
when the crowd of tourists became more and more pushy and noisy, Gianfranco
noticed, almost by chance, a middle-aged man who was observing the square with
an instrument that allowed him to test the light and the depth of his field of
vision. He immediately recognized him as a location seeker, one of those
experts whom directors sent around Rome to find suitable places to shoot their
films.
Gianfranco hurriedly
paid the three hundred and fifty lire for his breakfast and set out to follow
the man who had attracted his curiosity.
Making his way
through the crowd, Gianfranco immediately noticed that the man he subtly
stalked was advancing quickly, stopping every hundred meters to take some
photographs with the Leica slung around his neck and to ponder some ancient
monuments. Then, all of a sudden, his quarry took Via Nomentana and began to
climb even faster. The crowd thinned out, for this district wasn't exactly a
place for tourists. The street was shaded by long rows of pines and poplars.
Brand- new Fiat 600s were speeding by, and you had to be careful also of the
Vespas that crept between passers-by and cars parked along the road.
They had been
walking for almost an hour, when the location seeker stopped in Piazza Elio
Callistio. The Romans knew it also as Piazza Sedia del Diavolo, but for a
couple of years now, that name—which evoked something gloomy and sinister—had
been replaced by the memory of a historical figure. Yet the name change had not
obliterated the great ruin that vaguely resembled a chair, for still stood
there like a gigantic emblem of a place where satanic and bacchanal rituals had
been performed for centuries. A towering
pile of time-darkened, crumbling masonry.
In anteprima le prime due pagine del racconto Come Pietre Aguzze e Taglienti scritto insieme a Paul Di Filippo, e che apparirà nel prossimo numero di Fondazione Sf Magazine.
COME PIETRE AGUZZE E TAGLIENTI
Di
Claudio
Chillemi e Paul Di Filippo
1.
23
ottobre 2101 – Versante nord-orientale dell’Etna - 2345 metri sul livello del
mare.
Base
rilevazione e prevenzione sismica Bellini
Uno
La lava è una pietra aguzza e tagliente.
Si dice che quando i Greci approdarono in
Sicilia la prima cosa che videro fu un’immensa distesa di lava: la chiamarono
“Katane”, che nella loro antica lingua significa “grattugia”. Sull’arco sinuoso
che era quel golfo fondarono una città, sfruttando il fertile terreno
vulcanico. E attraverso ventisei secoli, per dozzine di volte, quella città era
caduta e risorta. E ogni volta era risorta più forte.
Così, tra le montagne e il mare, aveva preso
vita quello stupefacente miracolo urbano. Gli umani si erano stabiliti in quel
luogo inospitale, imparando a convivere con i capricci della natura, imparando
a piegare il fato alla loro volontà.
La dottoressa Adele Bruno rivolse uno sguardo
fugace al Golfo di Catania, mentre ripensava alle terribili eruzioni vulcaniche
che lo avevano generato. Quindi riprese ad analizzare le letture delle
rilevazioni, allineate a mezz’aria di fronte a lei.
“Registriamo di nuovo quei picchi,” disse uno
dei suoi assistenti.
“È tutto troppo ovvio, dottor Biondi. C’è un
accumulo di quasi tre gigatoni di energia sismica, il collasso è imminente.” Il
volto di Adele rifletteva la preoccupazione della sua voce.
“Dobbiamo notificarlo alla Protezione
Civile?”
“Non possiamo attendere oltre. Dica loro che
stiamo implementando il piano d’intervento Alfa Omega 4. Siamo a un passo da un
Big One di livello undici.”
Biondi fece scorrere i display olografici
finché apparve il volto ispido e abbronzato di un uomo in uniforme.
“Capitano Marcelli, stiamo per attivare il
piano d’intervento Alfa Omega 4.”
“Maledizione! Siete sicuri che sia la nostra
unica opzione?”
“Assolutamente,” intervenne Adele. “Mi rendo
conto che il sistema di dispersione dell’energia sismica non sia mai stato
testato su un evento di magnitudine simile, finora. Ma non abbiamo altre risorse.
Non se vogliamo che la Sicilia sopravviva e se vogliamo evitare un raffreddamento
globale di portata catastrofica.”
Il capitano Marcelli prese a picchiettarsi
con le nocche delle dita la fronte solcata dalle rughe, come se cercasse di reprimere
un terribile mal di testa. “Fino a questo momento, dottoressa, lei ha provato
che il suo giocattolo è in grado di gestire eventi di bassa portata, tre o
quattro gradi della scala Richter. Nulla di così devastante.”
Adele accennò un sorriso cupo. “Allora suggerisco
di considerare la crisi in corso una perfetta occasione per testare il limite
massimo della matrice!”
Il dottor Biondi sogghignò e sollevò un
sopracciglio, mentre Adele Bruno volgeva le spalle al capitano. Come
un’incantatrice, la donna evocò l’apparizione di bizzarre icone sull’area di
lavoro di fronte a lei. Le sue mani diedero inizio a una sorta di danza
sincopata e all’improvviso una mappa intricata, una fitta rete di nodi
luminosi, cominciò a prendere forma.
“I punti di connessione sono tutti attivi e
stabili,” disse. “Fissare le coordinate delle antenne.”
Mentre osservava impotente dal Quartier
Generale dell’Esercito a Roma, Marcelli corrugò il volto in una smorfia di
malcelata tensione.
Passarono quasi venti minuti, durante i quali
una serie di dati numerici balenò nell’aria, come durante una partita a tombola.
Poi, finalmente, la terza persona presente, un tecnico donna di nome Gabriella
Sosio, annunciò: “La griglia di trasmissione è allineata.”
Il piccolo bunker corazzato che costituiva la
base di rilevazione e prevenzione sismica Bellini
Uno era fornito, su tutti e quattro i lati, di ampie e spesse finestre di meta-vetro
fortificato, progettate per compensare le dimensioni claustrofobiche dell’edificio.
Biondi ora guardava all’esterno, verso la cima della montagna: quattro
gigantesche antenne a disco si ergevano sulla vetta come enormi scudi metallici
illuminati dal sole.
Il loro scopo era quello di convogliare nello
spazio le forze dell’inferno.
Quella mappa di nodi luminosi, costituita da
più di diecimila punti di connessione, si allargò distendendosi su un’area di
circa cento chilometri quadrati lungo le pendici dell’Etna. Ogni punto penetrò
nelle viscere della Terra a una profondità di più di dieci chilometri. I punti
di connessione avrebbero dovuto catturare l’energia sismica del tormentato
pianeta, trasformando la forza tettonica in onde gravitazionali, e trasmetterne
la potenza alle antenne. Quei radiatori giganteschi l’avrebbero quindi scaricata
al di là della troposfera. Da lassù, una serie di ripetitori satellitari
avrebbe rallentato e decompresso l’energia prima di disperderla nello spazio, scongiurando
così qualsiasi pericolo o danno.
[...]
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