Buona Lettura.
Spiderman:
il FILM!
Di Claudio Chillemi
Da
quando la grande famiglia degli eroi Marvel è entrata a far parte della ancor
più grande famiglia della Sony, l’associata per il cinema della società
nipponica, la Columbia, ha messo in cantiere più di un film sui supereroi; a
Spiderman seguiranno Hulk, Devil, i Fantastici 4, il secondo film sugli X-Men.
Insomma, per gli appassionati di quelli che in America vengono chiamati comics
e in Italia fumetti, si preannuncia una stagione calda. Quello che stupisce,
però è che, al contrario del passato, si assiste ad un rispetto maggiore della
fonte da cui questi film hanno origine; mentre una volta i vari Superman,
Batman e compagnia erano riproposti in film che poco o nulla avevano a che fare
con le storie di carta colorata, tranne per i personaggi, e anche questi con
molti distinguo; oggi, già con il primo X-Men, gli sceneggiatori hanno pensato
che, se una storia funziona in un fumetto, perché non dovrebbe farlo anche al
cinema? E da questo punto di domanda sono partiti per creare pellicole dal
sapore fortemente fumettistico, ma con un solido apparato cinematografico.
Questo
è il caso di Spiderman. Atteso da tempo da milioni di fan, il film di Sam Remi
si avvale per la sceneggiatura dell’ormai mitico Stan Lee, il creatore del vero
e originale “amichevole uomo ragno di quartiere”, colui che ha forgiato l’ormai
mitica formula “super eroe con super problemi”. Lee, ormai ultrasettantenne,
deve aver dato un serio contributo alla sceneggiatura e all’intreccio della
pellicola, che, in linee generali, riassume la prima parte delle avventure di
Spiderman, quelle che vanno dai primi anni sessanta ai primi anni settanta. La
capacità degli autori del film è stata quella di attualizzare quelle splendide
storie senza snaturarle, impostando l’intero percorso narrativo su un binario
di semplice quotidianità, che poi è stata la chiave del successo dell’uomo
aracnide. La tranquilla vita di una famiglia che vive alla periferia di New
York, dei ragazzi di liceo che si avviano all’università, due vecchi coniugi,
emblemi di una rassicurante esistenza; e poi, la tragedia, l’imprevisto, la
pazzia, il dualismo. Ecco, il dualismo, il doppio, l’anima gemella che sta
dentro di noi, quella che i latini chiamavano alter ego, è il vero protagonista
del film. In tutta la pellicola, ogni singolo personaggio soffre di un profondo
dramma interiore che lo porta ad un vero sdoppiamento di personalità: Osborn
padre che diventa Goblin; il figlio di questi, sempre teso tra l’affetto per il
padre e l’odio verso il genitore, che corteggia Mary Jane, oggetto dell’amore
del suo migliore amico, Peter; Peter, che è sia un simpatico ma imbranato
studente, che l’incredibile Uomo Ragno, ma nello stesso tempo è nipote dei suoi
tutori, ma anche in parte figlio adottivo; e poi Mary Jane, che simpatizza per
Peter, ma sta con Hanry Osborn, che vuole fare l’attrice ma lavora in un fast
food…Insomma, un gioco delle apparenze che appartiene in tutto e per tutto alla
nostra società, sempre tesa a dimostrare di essere ciò che non è, e ad apparire
ciò che non sa essere.
Analizzare
la storia, però, non esaurisce il discorso sul film, che, prima di ogni cosa, è
una narrazione visiva. In una parola, tutto questo dramma interiore, questo
dualismo come viene reso sulla pellicola? Partiamo col dire che i due attori
principali sono di grande efficacia: Dafoe nel ruolo di Osborn/Goblin da vita
ad una magnifica ed intensa interpretazione, sfiorando più volte il
parallelismo con Jakyl/Hyde, ammirevole è la discussione che fa con l’altro se
stesso allo specchio. McGuire, è, poi, un Peter Parker perfetto, minuto,
insignificante, timido e compassato, senza maschera; sfottente, gradasso, e
irriverente con la maschera. E, a proposito di maschere, e riallacciandoci al
discorso sul dualismo, di grande impatto visivo ed emotivo, è la scena finale
del film, quando Spiderman combatte con parte del volto scoperto, mentre il
costume è a brandelli distrutto dai violenti colpi di Goblin. Il super eroe non
è nudo, è umiliato, quasi che qualcuno stesse grattando via la sua patina di
perfezionismo per tirar fuori l’uomo, quello che sta dietro la maschera. Un
tocco di classe preso pari pari dal fumetto, che arricchisce la pellicola di un
grande significato simbolico.
Un
altro grande merito del film, che non possiamo non citare, è la mancanza del
lieto fine. Certo, a parte zio Ben e Goblin,, che muoio come è nel loro
destino, non muore nessuno (mentre nel fumetto Parker perde la sua prima
ragazza, Gwen, qui neanche citata); ma, alla dichiarazione d’amore di Mary
Jane, Peter risponde in modo del tutto inatteso per gli spettatori, ma non per
i veri conoscitori del fumetto: “ti posso dare solo amicizia, grande amicizia,
ma nulla più…”, perché Peter sa benissimo che non può impegnarsi seriamente con
nessuno, se deve portare a termine la sua missione come Spiderman.
In
conclusione, quindi, un buon film, dove gli effetti speciali, che pur ci sono,
non diventano la base della storia (anche per questo, noi, non ne abbiamo
parlato), ma un giusto contorno; dove non si indugia quasi mai nei facili
americanismi, tranne nel ritrarre qualche scena di costume (la villetta
unifamiliare, il giorno del diploma, ecc…); dove non manca spazio per qualche
velata ma efficace polemica sociale (“dopo 35 anni, licenziato e senza un
soldo”, si lamenta zio Ben, e pensare che in Italia si discute ancore sulle
pensioni…). Cosa aspettarci, allora? Che il secondo film su Spiderman, a cui il
primo rimanda senza appello, segua lo stesso filone, magari facendoci vedere
qualche bella storia a sfondo psicologico come “L’ultima caccia di Kraven”, che
ha illuminato la serie a fumetti sul finire degli anni ottanta, speriamo…
Nessun commento:
Posta un commento